Percorsi in bicicletta tra Collio, Carso ed Isonzo… sui luoghi della Grande Guerra nella provincia di Gorizia…

Lavori di sistemazione Museo sul Monte San Michele

Lavori di sistemazione Museo sul Monte San Michele

…. «E quello è l’Isonzo» disse l’ufficiale, quando fummo giunti all’estremità della pianura di Udine.

Le parole di Kipling

Si sarebbe detto che esso scaturisse dal Kashmir, con le frequenti sinuosità delle sue secche scialbe, che si inseguivano, giù per la corrente, in una danza vaporosa. Le acque, di color lattiginoso, odoravano della neve dei monti, mentre si avventavano contro le corde dei pontoni, allungati in modo da permettere molti piedi di altezza, a seconda del flusso delle acque. Un fiume nutrito di neve è altrettanto infido quanto un uomo ubriaco. L’odore caratteristico dei muli, del fumo acre del legno ardente ed una fila di carrette siciliane dalle ruote alte, coi loro fianchi dipinti a soggetti biblici, davano la illusione di una scena orientale. Ma il costone emergente dall’altra parte del fiume, e che sembrava così ripido, (il monte San Michele) non era in realtà che un monticello piatto tra le montagne e non rassomigliava a nessun altro luogo sulla terra.

Se i Matoppos

Se i Matoppos si fossero accoppiati con i Karroo, avrebbero potuto appena concepire un tale aborto di pietrisco chiazzato e di lordume sminuzzato dalle intemperie. Lungo tutta la sua base, indifferenti oramai alle migliaia di soldati che erano lì intorno, allo stridio dei muli, al rauco tossir dei motori, al fracasso delle macchine e al calpestio delle carrette, giacevano, in teorie innumerevoli di cimiteri, quei morti italiani, che, per primi, avevano resa accessibile la via alle maggiori altezze.

«Li abbiamo trasportati giù e li abbiamo seppelliti dopo ogni battaglia», disse l’ufficiale. «Vi furono molte battaglie. Reggimenti intieri giacciono lì, là e… là! Alcuni di essi morirono nelle prime giornate, quando facevamo la guerra senza strade: altri morirono dopo, quando avevamo le strade, ma gli Austriaci avevano i cannoni. Altri, infine, morirono quando battemmo gli Austriaci. Guardate!»

Veramente, come dice il poeta, la battaglia è vinta dagli uomini che cadono. Dio sa quanti figli di madri dormono lungo il fiume, dinanzi a Gradisca, all’ombra della prima barriera dell’orrido Carso! (..)

La strada su per il monte

La strada si insinuava su per il monte, fra trincee morte, e reticolati di filo di ferro spinoso, rossi di ruggine sulla terra — simili ad «erpici capaci di attorcigliare corpi umani come fili di seta» — fra i consueti monticelli di sacchi di sabbia squarciati ed intorno a buche per cannoni vuote, e smussate ai cigli dalle intemperie delle stagioni. Non è facile scavar trincee sul Carso più di quel che si riesca a trovarvi acqua, perchè, alla profondità d’una palata sotto alla superficie, l’ingenerosa pietra si muta in cupa roccia e tutto deve essere perforato o schiantato. (..) 

I versanti brulli

E, come se non bastasse tutta questa asprezza selvaggia, i versanti brulli e le cuspidi desolate erano incavate da numerose buche e da acquitrini, alcuni dei quali sembravano squisitamente tracciati da mano diabolica, per collocarvi mitragliatrici; altri, come piccoli crateri, erano capaci di contenere mortai da 33 centimetri e si aprivano fino al loro fondo, attraverso screpolature, in caverne asciutte, ove intieri reggimenti possono nascondersi e donde possono essere snidati. Io vidi una di queste località, che era stata adibita da due battaglioni austriaci come riparo alle bombe, non lontano da un mucchio di muraglie di una grigia casa rovinata, le quali si incurvavano e parevano parlare insieme, nell’aria leggera, come spettri. Era ciò che rimaneva di un villaggio preso e ripreso

La macchina per l’acqua

L’unica reliquia in esso vivente era una macchina che pompava l’acqua — attraverso i condotti, su per i monti, sopra i piani ed anche al di là; attraverso la nebbia lontana — alle truppe assetate, giacenti nelle trincee senz’acqua.

«Qui abbiam fatto fuggire una volta gli Austriaci» — disse l’ufficiale. — «L’unica cosa che ci arrestò fu la mancanza d’acqua. I nostri uomini andarono avanti fino a quando non furono soffocati dalla polvere. Adesso questi condotti li seguono ovunque».

Ventre di pietre

Girammo intorno alla più alta cima del costone e sbucammo fuori sul suo versante più riparato, ciò che gli Arabi chiamerebbero «Ventre di pietre». Non vi era ombra di verde, nulla ma soltanto roccia frantumata e rifrantumata, fino a perdita di vista, dallo scoppio delle granate.

Sulla terra, per quanto sconvolta, sia pure con qualche sforzo, si può sempre camminare; ma qui non v’era posto da mettere il piede; pareva di trovarsi in preda a un incubo.

Neanche due frantumi erano identici l’uno all’altro, e quando si inciampava sull’orlo di una fossa scavata dall’esplosione di una granata, i cigli si sgretolavano e rotolavano crepitando

Le tombe comuni

Grandi tombe comuni erano ammassate, ed arginate, lungo i loro fianchi, con muri di pietra. Sopra uno di questi cumuli di messi falciate dalla morte, qualcuno aveva posato un vecchio femore di color bruno. In quella località aleggiavano gli spiriti, nella calda luce del giorno, mentre la pietra fremeva sotto la canicola.

Punte aride ed aguzze, come le coste di una mucca, ergevansi lungo la catena montuosa che si svolgeva sotto i nostri sguardi. Una di esse, che ci sottostava di pochi piedi, era stata presa e riperduta sei volte. «Ci spazzarono via con le mitragliatrici dalla località dove siamo — disse l’ufficiale; — così dovemmo conquistare prima questo punto più alto. Ci costò parecchio».

Reggimenti distrutti e ridistrutti

Egli ci raccontò di reggimenti distrutti, ricostituiti e ridistrutti, che raggiunsero soltanto alla loro terza o quarta resurrezione lo scopo che si erano prefissi i loro predecessori. Ci disse di morti nemici in gran quantità, sotterrati in talune località sotto alle risuonanti pietre e di una certa Divisione Honwed ungherese la quale reclama, per diritto di sangue, la difesa di questa parte del Carso. Essi pure sbucano dalle rocce, muoiono e rinascono nuovamente, per essere nuovamente uccisi.

(..)

«E come fate voi a portare cannoni da 220 fin quassù?», domandai.

Egli sorrise un poco. Imparai più tardi, sulla montagna, la ragione di quel sorriso.

«A forza di braccia», rispose e si voltò all’Ufficiale del Genio, che dirigeva i lavori, per rimproverarlo di avere esploso mine senza avviso.

Scendemmo dal «Ventre di pietre» e quando ritornammo un’altra volta sul terreno piano, al di qua dell’Isonzo, ci voltammo ad osservarlo attraverso alle linee dei cimiteri che lo circondano. Esso era stato il primo ostacolo che l’Italia ha trovato sulla sua stessa soglia, dopo che ebbe varcato l’ampio Isonzo irrequieto, dove le truppe possono camminare ma camminare non è agevole.

Joseph Rudyard Kipling – La guerra nelle montagne (1917) . Il ventre di pietre.

(fonte wikipedia)

“Lavori di sistemazione” Museo all’aperto della Prima Guerra Mondiale Monte San Michele - Tabella Lavori
“Lavori di sistemazione” Museo all’aperto della Prima Guerra Mondiale Monte San Michele – Tabella Lavori

Prologo

Dovevo e volevo iniziare da queste parole che il poeta e scrittore britannico Kipling, dedicò al Monte San Michele, perchè da ieri mattina ho un dolore che mi contorce lo stomaco. Non riesco a capacitarmi di quanto possa l’uomo, cancellare la storia. Perchè, mi chiedo, tanta inaudita e intollerabile insensibilità? 12 luglio 2016. Zona Monumentale del Monte San Michele. Museo all’aperto della Prima Guerra Mondiale tra i Comuni di Sagrado e Savogna d’Isonzo. “Lavori di sistemazione”.

La zona Sacra oggi.

Zona sacra del Monte San Michele. Zona sacra perchè su queste cime, ungheresi ed italiani, combattendo valorosamente e da prodi, si affratellarono nella morte (luglio 1915 – agosto 1916) come recita la lapide posta sulla cima 3.

Qui, ora, invece, solo ammassi disordinati di materiali; cumuli di sabbia e ghiaia alla rinfusa. Ovunque rete di plastica rossa. Un cartello esplicativo ricoperto con lo stesso nylon rosso. Ovunque “lavori in corso” completamente bloccati, arbusti che crescono dentro grate di metallo arrugginito abbandonate a terra, sacchi di cemento, ruspe e attrezzature meccaniche a riposo. I bagni, transennati e chiusi,  sostituiti da due “cessi chimici” con relativa fontanella esterna da cui sgorga acqua non potabile.

Il piazzale

Posteggiare non è più possibile nel piazzale antistante il museo. Le corriere dei poveri “turisti” devono proseguire fino a San Martino del Carso, per poter invertire la marcia. Una colata di cemento per una “nuova passeggiata”, con scalini; una persona diversamente abile, non potrà mai arrivare fin quassù. Il primo gradone richiederà l’innalzamento della carreggiata della strada che sale da Peteano fino al San Michele?

La terrazza panoramica e l’antenna

Diteci per favore, che bisogno c’era? Una terrazza panoramica pensile che si protende, perchè chi sale sul Monte San Michele vuol solo ammirare il panorama? e non “rivedere” invece con i suoi occhi e percepire con i suoi sensi, quanto narrato da  Kipling?

E poi alberi tagliati, dicono per ricreare la parvenza originaria dei luoghi durante la guerra. Dimenticandosi però che l’antenna Rai Way, dall’alto di cima 3, svetta ahimè, imperiosa ed incurante. È troppo complicato, procedere ad un esproprio per pubblica  utilità, per quei pochi metri quadri di terreno e chiedere alla Rai di spostarla altrove?

Cosa stiamo facendo? Per quale ragione, profaniamo i luoghi sacri, disintegrando la  nostra storia, uccidendo, per la seconda volta,  chi è morto quassù? Cento anni dopo.

Chi deve vigilare, dov’è? Chi deve dirigere i lavori, dov’è? Ditemi il responsabile della loro esecuzione, dov’é?

Un pò di rispetto per favore

Credo sia doveroso un po’ di rispetto, almeno per le decine di migliaia di giovani, che hanno visto spezzate le loro vite, su questo ventre di pietre. Solo questo vorrei chiedervi. Ma lo chiedo con forza, con rabbia, con profondo sdegno, con il senso di appartenenza a questa terra da cui traggo infinito nutrimento.

I responsabili

Ing. Flavio Gabrielcig. Studio Paolo Burghi Camerino. Arch. Stefano Alonzi. Arch. Claudio Boscolo. Ministero della Difesa, Commissario Onoranze Caduti in Guerra. Presidente della Provincia di Gorizia dott. Enrico Gherghetta. Sindaco del Comune di Savogna d’Isonzo. Sindaco del Comune di Sagrado.

A voi che, a più livelli, avete la responsabilità di questo scempio, chiedo di lasciare, almeno per un giorno, i vostri suv o la vostra autovettura economica ma con aria condizionata a San Martino del Carso. Scendere dall’auto e percorrere, sotto il sole estivo, senza acqua al seguito, quel kilometro di sentiero, che toccando il cippo Honved, arriva fin quassù. A piedi. A piedi, così avrete il tempo per pensare e riflettere, in silenzio

Preghiera

Ogni passo che farete sarà sopra la terra che ha visto assorbire il sangue di tanti uomini, ogni albero cresce su quella terra, intimamente si nutre di quel sangue.

E, senza acqua, e con il sole a picco, vi sembrerà di soffocare. Dalle trincee, dagli avvallamenti, dalle doline, gli spiriti di quelle persone vi accompagneranno nel vostro cammino. Sentirete le loro voci nei vari dialetti italiani, gli ordini perentori in tedesco, scorgerete capannelli di soldati parlare una lingua indecifrabile, l’ungherese. Se avete buon udito, sentirete i loro lamenti, e il tormento, vi lacererà lo stomaco. 

Se saprete ascoltare, sommessamente vi chiederanno, vi pregheranno di non dimenticarvi di loro, di fare qualcosa che abbia un senso ma, sopra ogni cosa, di rispettare, profondamente, questo luogo sacro.

Dopo tanto dolore e indicibile sofferenza chiedon solo di riposare in pace.

Stefano Spessot (Gradisca d’Isonzo)

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