Percorsi in bicicletta tra Collio, Carso ed Isonzo… sui luoghi della Grande Guerra nella provincia di Gorizia…

La vera storia di un’impensabile liberazione di Franco Basaglia

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Al Politeama Rossetti, in Sala Bartoli fino all’11 novembre, si rappresenta La vera storia di un’impensabile liberazione di Franco Basaglia. Lo spettacolo ideato e presentato da Massimo Cirri e Beppe Dell’Acqua. Le luci in sala si spengono, prendono posto in prima fila i due autori.

Le parole di Franco Basaglia, inondano fin da subito la sala:

Belle Dall’Acqua e Massimo Cirri seduti in platea ad inizio spettacolo

“Ogni volta che si svuotava un manicomio la città andava in crisi . la gente non poteva riflettersi nel teatro della follia e quindi doveva fare i conti con la normalità che aveva prodotto. La salute e la malattia sono vita e dare la possibilità di convivenza nella salute alla malattia è la cosa più importante. Poter vivere questi due fattori, contemporaneamente, non sono divisi non possono essere divisi, una persona vive la vita vivendo la salute e la malattia. In caso contrario una persona è totalmente e perennamente nella morte.” Quello che fanno i due autori non è un racconto ma è la restituzione di quello che è stato appreso da Beppe Dell’Acqua a fianco di Franco Basaglia.

Inizio dell’esperienza di Basaglia a Gorizia

Tutto comincia presso l’ospedale psichiatrico di Gorizia il 16 novembre 1961 quando Franco Basaglia diventa direttore. Gorizia mai come in quel tempo è punto di confine, politico e sociale ma anche ai margini della nazione. Basaglia ha 37 anni, e proviene dall’università di Padova dove però non si sente completamente a suo agio e adatto alla carriera universitaria. Sbarca a Gorizia e trova un mondo che non conosceva e nemmeno immaginava. In quegli stanzoni dell’Ospedale Psichiatrico respira un odore. Un odore che gli ricorda e gli fa tornare alla mente e che respirò durante la detenzione ,17 anni prima, per sei mesi, in un carcere antifascista . Lo stesso odore di morte.

Beppe Dell’Acqua e Massimo Cirri durante lo spettacolo

Scopre un mondo muto, freddo, sospeso, immobile, di violenza con porte chiuse, tintinnare di chiavi, letti di costrizione. Quello che più lo sconvolge è però l’assenza. Ci sono 650 corpi, divenuti oggetti, più nessuno, coperti dalla stessa identità di internati. Fin da subito, ha il terrore di diventare complice , perpetrando l’operato di chi lo ha preceduto. Lo aiutano gli studi di filosofia, un filo che ricordasse una storia incomprensibile. Si accorge immediatamente che deve mettere tra parentesi la malattia . Deve spostare una pietra in un terreno melmoso. E’ tutto tremendamente complicato, ma la vergogna diventa insopportabile ed il bisogno di fare qualcosa impellente . Intuisce che deve essere con l’altro.

L’ospedale di apre

L’ospedale si apre finalmente, la malattia viene messa tra parentesi. Quei 650 corpi, diventano individui, persone. Un episodio significativo è quello che accade la prima mattina. L’ispettore capo porge a Basaglia il libro delle costruzioni, il registro giornaliero. Il direttore dovrebbe solo firmarlo come hanno fatto prima di lui tutti i direttori. Ma Franco Basaglia rimette la penna nel suo cappuccio e dice in dialetto veneziano “Mì no firmo!!”

Assieme al suo Vice , Antonio slavich, parleranno sempre in dialetto veneziano. Iniziano sistematicamente a cercare un modo per interfacciarsi con le persone. Compra una Fiat 500 usata azzurra e porta i pazienti a fare un giretto in centro a Gorizia o sul greto dell Isonzo. Le persone all’inizio sono intimidite, c’è stupore in loro. L’ultima macchina sulla quale sono montati è stata l’ambulanza con la quale sono stati internati.


La televisione finlandese

L’esperienza all’ospedale psichiatrico di Gorizia fa il giro del mondo. Non si è mai visto un ospedale psichiatrico così aperto. Nel 1968 la televisione di stato finlandese manda una troupe per documentare. L’assemblea generale dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, con tutti i pazienti radunati, delibera sulla possibilità che la televisione possa entrare nella struttura. Ogni individuo vota, alza la mano, incomincia a balbettare e poi a parlare.  Si prendono, per la prima volta, delle decisioni condivise.

L’istituzione negata

E’ il 1968 e, Basaglia, assieme a un equipe di medici, scrive L’istituzione negata. il libro vende 50.000 copie. Dell’acqua studia presso l’Università di Napoli e segue una lezione del professor Longo . In modo solenne il professore sentenzia “nella mia clinica non si deve “Basagliare”!. Assiste ad una lezione nella quale, come materiale didattico, vengono portati nell’aula due gemelli, schizofrenici, catatonici e monoculari. Due statue che escono dallo stesso calco. Dell’acqua resta sconvolto . ma vuole andare oltre a quella spiegazione. Ha sentito parlare di questo libro, di Basaglia, e vuole andare ad incontrarlo. L’occasione è un incontro parauniversitario di rugby, a Parma.


Inizio di una rivoluzione

Basaglia lo invita a Gorizia. Qualche mese dopo Dell’acqua lo raggiunge. Quello che trova è sconvolgente. Nessuno ha un camice, tutti sono attorno ad un tavolo, non c’è niente di gerarchico. Basaglia dà del tu a tutti. Incominciano ad ascoltare e di pari paso iniziano a capire. La scommessa si vince non rinunciando ad affrontare momenti più duri. Si può partire e ripartire anche da un fallimento. Certo i momenti difficili non mancano. L’aggressività, la violenza. Servono le medicine per curare. A Trieste dove nel frattempo si è spostato, con 1200 persone malate può accadere di tutto. La cosa più angosciante però è “se l’infermiere ti chiama e ti Informa che un signore si barrica dentro la stanza ed è violento. Però dottore se vuole pensiamo noi è la frase che per anni è stata detta in quei momenti. Ora invece il dottore risponde vengo”.


Il dottore si siede e cerca di convincere Carletto a stare seduto, di calmarsi. Inizia a parlare, parla di stelle, del tempo che non tornerà più, piange, con tutto il corpo. Parla di un nonno generoso che lo portava a scuola, e lo ha fatto crescere, sente la nostalgia. Anche il dottore comincia a raccontare. Il suo nonno in Irpinia 50 anni fa e poi anche l’infermiere racconta. “Adesso stiamo conversando tutti e tre. Ci facciamo portare un caffè e lo beviamo insieme. Stiamo costruendo una nuova teoria della cura anche se dobbiamo vivere quotidianamente l’incertezza che la strada sia quella giusta o un vicolo cieco. Lascio Carlo che mi accompagna alla porta, gli auguro la buonanotte ma lui vedi che albeggia e mi augura Buongiorno dottore!!!

L’Arte entra in manicomio

Da un’idea di Dino e Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia, con l’aiuto dei pazienti, viene creata una scultura, di legno e carta pesta. Si chiama Marco Cavallo . Avrà una porticina nella pancia dove ogni paziente può inserirvi un foglietto, o un racconto, brandelli di parole, sogni. E’ una limpida domenica di febbraio, il cavallo corre su e giù nel corridoio. Scalpita. Finalmente spicca il grande salto. Cadono infissi e calcinacci. Il primo muro è saltato e, come era destino, da quel momento va in giro nel mondo senza più fermarsi.  Fuori contestano Marco Cavallo, ci vorrà del tempo i desideri e i bisogni dovranno convergere e bisogna spiegare alla gente cosa è stato fatto. Viene stampato un volantino nel quale si esprimono tutti i dubbi anche tra i medici che operano nel manicomio. 

Racconti e storie

E poi racconti. Racconti di storie come quella del signor Giovanni da San Giovanni di Umago, che scriveva sempre lettere al direttore in cui chiedeva un pezzetto di terra da coltivare e allegava una banconota da 500 lire. E poi un giorno il signor Giovanni torna nella sua terra, tra la sua gente. Ed è subito festa. I parenti chiedono al professore “Ma allora Giovanni è guarito, non è più pericoloso”. E Giovanni può finalmente ricominciare la sua vita, da dove l’aveva lasciata., venticinque anni prima. Riprende a coltivare la terra, ad andare a pesca con i nipoti. Succede invece che il professore viene chiamato dalla cognata.

Suo marito Antonio, il fratello di Giovanni, beve, gli piace troppo La Malvasia istriana. e così Antonio viene ricoverato per un mese nell’ospedale psichiatrico per disintossicarsi ed il fratello Giovanni lo viene a trovare, con una corriera da Umago. Gli porta la biancheria pulita. E’ un mondo che si rovescia. Giovanni poi muore qualche anno dopo, crediamo di infarto, mentre tira le reti sulla barca nel suo mare all’alba, mentre si alzava il sole.

Incontri con i cittadini

Vengono organizzati degli incontri con la cittadinanza per spiegare quello che si sta facendo. La libertà deve essere concessa con responsabilità e viceversa. Accadono anche delle cose spiacevoli, vengono aperti centri di salute mentale, anche a Barcola, tanti si lamentano. A Natale nel centro di Barcola si vuole organizzare il Natale più bello che esista al mondo. Arrivano ragazze catalane vestite da angeli, arriva anche la vicina del centro, che porta due panettoni e due regali per 2 ospiti del centro . I suoi ragazzi giocano nel giardino accanto e spesso parlano con i due ospiti che gli raccontano storie di vita .


La Legge n. 180 del 13 maggio 1978

E’ primavera del 1978, settimane buie dopo l’uccisione di Aldo Moro avvenuta per mano delle Brigate Rosse il 9 maggio 2018.  Il Parlamento approva la legge e a dirigere la commissione è la senatrice della Democrazia Cristiana Tina Anselmi, staffetta partigiana. Ecco le sue parole conclusive “I malati di mente sono o no cittadini che godono dei diritti tutelati dalla costituzione? Assolutamente sì, sono cittadini e a, maggior ragione, sono cittadini perché Matti”.


Oggi 2018.

E infine le parole che chiudono questa narrazione di Beppe Dell’Acqua:

La locandina dello spettacolo

“Bisogna crederci ogni giorno. E’ come se qualcuno che lavora alla NASA e non creda che si possa andare sullo spazio. Impazzire si può, perché si può guarire. Siamo arrivati fino a qui, stiamo percorrendo una strada, c’è ancora tanto nel futuro che si schiude davanti a noi. Ci dicevano che non era scienza ciò che facevamo, che non eravamo medici, che quella non era psichiatria, era soltanto ideologia senza fondamento. Ci dicevano che è utopia, ma utopia è cosa che si può solo sognare. Ma nell’utopia non ci possono essere muri, reti e steccati, porte chiuse. Ma per fare tutto questo c’è ancora tanto da fare e prima di tutto, non si può smettere MAI di sognare”.

Lo spettacolo si chiude con i visi degli ospiti. Quanto assomigliano a tutte le facce degli spettatori, proiettate sullo schermo, durante l’ora e mezza del racconto. 

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